La giustizia del governo: ordine pubblico e corporazione

iomoPubblicato il 5 mag 2013

di Livio Pepino ::

Tra le tante anomalie che caratterizzano l’attuale governo ce n’è una, non insignificante, che riguarda la giustizia. Non è la principale, a fronte della situazione economica e sociale, ma è indicativa di un processo di rimozione e cambiamento sempre più accentuato.
Cominciamo dalla rimozione. Nel programma di governo la giustizia semplicemente non c’è ed è la grande assente anche nel discorso di re-insediamento del presidente Napolitano che di quel programma è la premessa e la fonte. Il discorso presidenziale si occupa, infatti, di quasi tutto ma il termine «giustizia» non vi trova cittadinanza; e mancano anche i «diritti», mentre la parola «corruzione» vi fa capolino solo due volte (e per descrivere una situazione di costume). Il programma di governo poi – nel testo letto alla camera – dedica alla giustizia otto righe tra l’irrilevante e il grottesco, in cui si proclama, con scarso interesse per la consequenzialità dei passaggi, che «la ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!». Fine del discorso, che neppure accenna alle modalità per raggiungere il risultato.
In compenso, nelle 5.753 parole che compongono il testo, il termine «giustizia» non compare mai, i «diritti» sono citati due volte in modo del tutto generico, le locuzioni «prescrizione», «falso in bilancio», «conflitto di interesse» sono sconosciute e la «corruzione» è evocata solo per dire che «distorce regole e incentivi» (sic!).
Non sono tra quelli che attribuiscono alla giustizia un ruolo salvifico nella vicenda del paese e neppure credo che – in questa fase – essa meriti il primo posto nell’agenda politica, ma qualcosa di più sarebbe stato lecito attendersi in una situazione in cui gli ultimi interventi al riguardo sono stati una legge sulla corruzione unanimemente criticata, la concessione della grazia (non agli ultimi della terra ma) al direttore del Giornale e al colonnello Joseph L. Romano, condannato a sette anni di reclusione per il sequestro di Abu Omar, e la sequela di rinvii dei dibattimenti a carico dell’on. Berlusconi dopo la marcia sul Tribunale di Milano dei parlamentari del suo partito e il conseguente monito del capo dello Stato sulla necessità di garantire al cavaliere la possibilità di «partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento»…
E veniamo al cambiamento. Già mi aveva allarmato la nomina a guardasigilli di un prefetto: nulla di personale, ma era difficile non vedervi un segnale della trasformazione in atto della giurisdizione in capitolo delle politiche di ordine pubblico. Ma altri segnali sono venuti dalla nomina dei sottosegretari, tra cui spicca quella – appunto alla giustizia – di Cosimo Ferri, magistrato in servizio, campione del corporativismo giudiziario, segretario nazionale di Magistratura indipendente (la corrente più conservatrice e, naturalmente, apolitica dei giudici), in quota Popolo delle libertà, almeno stando al ben informato Corriere della Sera. Se ho letto bene i nomi c’è, tra i sottosegretari (all’interno) anche un altro magistrato. Non me ne stupisco e sono certo che la cosa non provocherà alzate di scudi da parte dei fustigatori della politicità dei magistrati… Ma il segnale è di grande rilievo. Non che siano mancati, anche negli ultimi tempi, i casi di partecipazione di pubblici ministeri e giudici a incarichi di governo, sottogoverno o di fiducia governativa: il sostituto romano Nitto Palma è stato ministro della giustizia dell’ultimo governo Berlusconi, il procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara si è dimesso dall’incarico per diventare sottosegretario agli interni del governo Monti, l’ex procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito è stato nominato dal Consiglio dei ministri garante per il monitoraggio dell’esercizio delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto e potrei continuare. Ma l’inclusione nella compagine governativa del segretario nazionale in carica di Magistratura indipendente segna un salto di qualità e rimanda all’auspicio formulato da un notabile democristiano all’epoca di Mani Pulite: «Date tempo al tempo. Aspettate che la vecchia magistratura riacquisti il suo posto e vedrete che tutto tornerà come prima!». Ci sono voluti due decenni ma, con il ritorno dei democristiani, anche quell’auspicio sembra realizzarsi.
Una fase si sta chiudendo. A tenerla aperta dovrebbero essere – come è stato nei decenni scorsi – la vigenza della Costituzione (che osta alla omologazione dei magistrati con il governo) e l’attività di vigilanza e di denuncia pubblica della componente progressista della magistratura. Ma quest’ultima langue (o si rivolge ad altro) mentre la Carta fondamentale è di nuovo a rischio, affidata alle cure di una anomala Convenzione (aperta non si sa bene a chi), sulle orme dei dieci saggi chiamati, per un paio di settimane, a fare le veci di un Parlamento ritenuto inaffidabile. C’è di che riflettere.

LIVIO PEPINO

da il manifesto

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